DEFINIAMO LA PAROLA SOSTENIBILITÀ

Sostenibilità. Quella sconosciuta. Una parola che è sbocciata negli ultimi anni e che oggi è sulla bocca di tutti. “Green is the new black”, “Green is cool”, “No planet B”, “Plastic Free” etc.: slogan che abbiamo visto da tutte le parti e che magari ci hanno fatto riflettere.

E così abbiamo cominciato un nuovo percorso della nostra vita con l’obiettivo di ridurre il nostro impatto su questa Terra. Ma sappiamo davvero che cosa significa “sostenibilità”? Qual è il mondo che si nasconde dietro questa parola?

Se siete curiosi rimanete sintonizzati: andremo a rispondere alle 5 domande più gettonate riguardanti il mondo green!

Ma prima, da buona nerd, un breve excursus storico, che ci aiuterà a contestualizzare il discorso.

 

La definizione di sostenibilità.

C’era un volta la Conferenza delle Nazioni Unitdell’Ambiente Umano. Era il 1972 e per la prima volta si tiene, a Stoccolma, il primo evento mondiale sui problemi dell’umanità e dell’ambiente. Fa la sua comparsa questa strana parola: sostenibilitàanzi a dirla tutta è “sviluppo sostenibile”.

Si definisce però con chiarezza il suo significato solo nel 1987 alla Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo: sostenibile è quello sviluppo che “soddisfa i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro”.

Ma dobbiamo aspettare ancora il 1992 quando alla Conferenza di Rio de Janeiro (conosciuta come Earth Summit) si abbraccia la sostenibilità in tutte e tre le sue anime: ambientale, sociale ed economica.

Arriviamo poi al 2015 quando viene sottoscritta la famosa Agenda 2030, il piano di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite declinato in 17 obiettivi che vanno dalla salvaguardia delle risorse ambientali alla tutela delle comunità più povere, dalla lotta per la parità di genere alla promozione di una crescita economica inclusiva.

1) La sostenibilità è solo ambientale?

Quando ci approcciamo alla sostenibilità, in qualunque modo (dall’attivismo all’acquisto di un prodotto), occorre avere bene in mente quelle che prima ho chiamato le tre anime della sostenibilità:

Ambientale: questa dimensione prende in considerazione l’integrità degli ecosistemi e dell’ambiente, mira alla riproducibilità delle risorse naturali VS lo sfruttamento di quelle non rinnovabili. Qui parliamo anche di rifiuti, di inquinamento etc. Sicuramente questa è la faccia più conosciuta della sostenibilità. Ma non è l’unica;
Sociale: riguarda la capacità di garantire condizioni di benessere umano, si basa sul concetto di equità sociale come principio etico: no alle diseguaglianze, no alle discriminazioni; sì alla tutela dei lavoratori, all’inclusione e alla partecipazione;
Economico: sicuramente è l’aspetto più spinoso, perchégreen e money a prima vista potrebbero non andare d’accordo. Occorre però perseguire un’efficienza economica attraverso un’attenta gestione delle risorse tutelando comunità e società.
2) Sostenibile = etico?

In un mondo ideale sì. Ma nella realtà dei fatti non è sempre così. Facciamo un esempio: vado a comprare una t-shirt di cotone biologico certificato Oeko-tex 100. Ottimo, è fatta. Ho fatto un acquisto sostenibile. La sostenibilità in questo caso riguarda il materiale. In altri casi può riguardare il pack. Ma occorre fermarci e farci un’altra domanda: Who made my clothes (Chi ha fatto i miei vestiti)? Questa è la domanda che si pone il movimento della Fashion Revolution, nato per boicottare la fast fashion. Ma si può estendere a ogni categoria di prodotto: da chi è stato fatto? Quali sono le condizioni di lavoro di chi ha realizzato questo shampoo, questa borraccia etc. La tutela dei lavoratori, come detto più sopra, è un punto fondamentale su cui dobbiamo soffermarci.

E poi, parlando di etica, c’è un’altra questione: il cruelty free.Questo aspetto sta molto a cuore agli animalisti: un prodotto si ritiene “etico” anche quando dietro non si nasconde un processo di sfruttamento e violenza sugli animali.

3) E il greenwashing?

Tante aziende si stanno muovendo in una direzione green, cavalcando l’onda di quella che può essere vista come una moda, ma che così non è: la sostenibilità è uno stile di vita. Se voglio vedere un aspetto positivo del greenwashing è che riesce ad arrivare al largo pubblico, e da qui generare domande magari in una piccola fetta di interessati, possibili futuri consumatori consapevoli. Ma attenzione a non cadere nel tranello delle big companies che non hanno dietro nessun tipo di mission ecologica e dove la tutela dei lavoratori non c’è: un pack plastic free non ti fa automaticamente diventare un brand sostenibile e non fa di ciò che compriamo un acquisto responsabile.

4) Solo plastic free?

Come dicevo prima c’è tutto un aspetto della sostenibilità che riguarda i materiali dei prodotti, gli ingredienti, il pack... Siamo sommersi dalla plastica e da rifiuti e da qui nascono movimenti molto nobili come il plastic free o lo zero waste. Ma basta questo per rendere un prodotto sostenibile?

Dobbiamo introdurre un concetto importante: l’LCA. Per quantificare l’impatto ambientale di un prodotto occorre studiarlo in toto, in tutto il suo ciclo di vita: ecco che entra in scena il famigerato Life Cycle Assessment. Procediamo quindi analizzando il nostro ipotetico shampoo dalla culla alla tomba: da dove vengono le materie prime e come sono state estratte (e da chi)? Com’è avvenuto il processo di fabbricazione? E che dire della distribuzione? Infine che impatto ha avuto il suo utilizzo e infine il suo smaltimento?

Ci aiutano a calcolare l’LCA di un prodotto due parametri: il Carbon Footprint e il Water Footprint, dei calcoli che misurano l’impatto di un prodotto in termini di emissioni di CO2 e di uso dell’acqua.

Grazie a questi strumenti potremo scoprire che il prodotto che credevamo così poco impattante magari lo è molto di più, e che esistono alternative migliori.

E qui scatta il dilemma dello zero waster di tutti i livelli (base, pro o super pro): qual è l’alternativa migliore?

5) Sostenibile per tutti?

Molto spesso è difficile rispondere a questa domanda. Credo però che il punto di partenza sia proprio porsela: qual è l’alternativa migliore, e perché?

Approfondendo le nostre conoscenze, facendo rete con altre persone (virtualmente o dal vivo che sia), provando e sbagliando, capiremo quale sarà la soluzione migliore per noi: intraprendere un percorso sostenibile significa anche vivere una vita che sia sostenibile per noi nella nostra quotidianità, che non generi eco-ansia o senso di inadeguatezza. Proprio perché la sostenibilità è uno stile di vita è importante che sia alla portata di ognuno di noi.

Federica Albertin, @lecitazionidellafe

 

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